Si dice che vive meglio chi riesce a dimenticare, ma io non sono d’accordo con questa affermazione, perché ritengo, invece, che è solo partendo dal proprio passato che si possa ritrovare quel che si è perso, raggiungendo così la consapevolezza che oltre la nostra memoria, la nostra ragione e oltre la fine, riiniziano sempre tantissime altre storie.
Uno dei primi lavori che si svolgono quando entri in galera è il porta vitto, cioè l’addetto alla distribuzione dei pasti, una delle mie esperienze lavorative più memorabili all’interno del carcere.
Il carcere è un luogo che da una parte vive di routine e dall’altra di cambiamenti improvvisi, non annunciati, portando chi lo vive ad un continuo sali e scendi psicologico ed emotivo.
La quotidianità in carcere, si sa, è monotonia e noia. Oltre alle cose che si fanno di solito tutti i giorni, ci si ritaglia del tempo, o per passione, o per passatempo, inventando oggetti che siano poi utili per la cella, per lo sport, e via dicendo.
La galera è un’esperienza micidiale, esserne protagonisti diretti è tutt’altra cosa rispetto al sentito dire.
Ogni detenuto durante un periodo di detenzione si aspetta che arrivino delle sorprese, la maggior parte delle volte si auspicano buone e inaspettate.