Mercoledì, 20 Dicembre 2023 10:20

La rabbia: dal carcere alla libertà

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Foto di Ben Owen su Unsplash Foto di Ben Owen su Unsplash

Ho sempre temuto che potessi ammalarmi con il morso di un cane randagio, di un pipistrello, o di un orsetto lavatore, per poi scoprire che la rabbia può derivare anche da un’encefalite virale.

Quell’emozione, linfa per le mie radici, con un processo di raffinazione chiamato sopravvivenza è divenuto combustibile per la mia sofferenza.
Mi ha tenuto compagnia e dato sostentamento nei momenti più difficili, quando tutto non andava, lei mi ha elargito la forza di esistere nonostante di vivo dentro di me non c’era più niente. Come uno sposo cadavere che attendeva il matrimonio con la sua consorte, che mi ripudiava e schifava a tal punto da rendermi conto che nemmeno all’inferno mi voleva.
Come potrei definirti? Quel calore che mi hai dato, mi hai fatto diventare uomo, nel momento del bisogno non mi hai mai lasciato solo a differenza di tutti gli altri. Tu sei diventata parte integrante di me, ardevi fino a bruciare l’aria, toglievi l’ossigeno a ogni respiro che vita, soffocandomi mi divoravi, la tua essenza la invidiavo e idolatravo nel desiderio assoluto che divenisse letale, che tutto questo potesse finire, ardevo di volontà di divenire martire per te. 

Pronto a tutto, ma non ancora a farcela da solo. Tu salvatrice di noi due, questo folle gesto non me lo permettevi, mi tutelavi dimostrandomi solo la tua realtà e la tua fedeltà, restando vivi entrambi.
Come argilla hai plasmato il mio essere, modellato la trasformazione in quello che sono ora. Dopo che con la tua calda aura attraversi il cuore, nulla è come prima, è ciò che tu fai.
Diventare persona cosciente dopo che sei entrata nello spirito.
Tu sei stata medicina alle mie paure, quel mio corpo inerme lo hai messo in viaggio alla ricerca della verità. Strappando e dilaniando false credenze, poiché sei tu il risveglio da tutti i mali.
Ora comprendo i tuoi atti, la prospettiva in lontananza di una promessa di quiete, perché la tua energia non è infinità, dopo che te ne vai, che ti esaurisci, il corpo è sazio, dopo la guerra torna la pace.
E tu questo sei. Nient’altro che un violento guerriero sporco di sangue, ospitato in un corpo che al tuo esaurimento tornerà un innocente essere di serenità.

Ti ricordi quando mi hanno arrestato?
E dopo una lunga lotta mi hanno condotto in carcere?
Quella splendida prima sera…
Guardavo, odoravo, leccavo, mi ci appoggiavo con forza, sbattendoci la testa, nessuno dei due sentiva qualcosa, quel luogo ti ruba l’anima, quelle rugginose sbarre le volevo piegare, divorare, e non capivo quale magia ti avrebbe potuto annullare.
In galera non ti senti un essere umano.
Grazie rabbia, sei solo tu ad avermi dato la forza di non perire, chiuso in gabbia come un uccello che canta non per amore ma per rabbia. Quanto urlavo, fino a non avere più voce, a squarciagola, fino a sembrare pazzo, rasentando la follia. Attirando la guardia che non sopportando più l’eccesso veniva a urlarmi di stare zitto, sbattendo con forza le chiavi contro il blindo per farmi desistere.
Lui non mi poteva capire, non riuscivo a smettere, quel silenzio mi avrebbe lasciato solo con me stesso, con i miei demoni, e non sarei mai stato in grado di affrontarli in quel momento.
Alla fine, non serviva a niente tutto questo sfogo di disperazione. Cercavo di autoconvincermi: non ho paura, mi ripetevo fino quasi a crederci, ma ero consapevole che non avevo più niente da perdere, anche perché quando vivi all’inferno niente ti spaventa più, niente ti sorprende.

Amata rabbia, sei stata la mia unica amica, compagna di vita, non mi hai mai abbandonato, non mi hai fatto promesse, mi hai solo dato dimostrazioni, mi hai fatto fare cose che non avrei mai creduto di essere in grado di fare. La galera è anche questo, o vinci o perdi…
Ora ho vinto amica mia, ti sei esaurita, insieme alla mia condanna.
Non ho più bisogno di tutta la tua forza, mi hai lasciato qualcosa in più: la consapevolezza di cosa non voglio mai più essere, e un mucchio di distruzione che non del tutto potrò risanare.

Questo per me è un addio, siamo stati bene insieme ma ero povero d’animo ora sono cresciuto, devo lasciarti andare, in questo modo sarò un uomo migliore, tu non farai fatica a trovare qualcun altro a cui stare vicino.
Ora sono qui a scriverti questa lode e se dovessi darti un colore, tu saresti nera, come quel maledetto buco senza fine che tutto inghiotte nello spazio. Eri il mio buio, accecavi la mia vista rendendomi capace di brutalità e bestialità di cui non vado fiero, ma sono state parte di me quanto te... di me, di quel ragazzo senza niente, povero di materia e di spirito. 

Tu hai creato un nuovo me esaurendoti, mi hai dato la calma, la tranquillità, mi hai fatto maturare, sei stata una madre, la mia compagna. Ora, sazio di te, posso finalmente stare tra le persone, non vivo più d’impulsi, mi hai fatto diventare grande.
Quindi… è anche grazie a te che sono riuscito a uscire vivo dal carcere.
La via più facile sarebbe stata lasciarsi andare, scomparire per sempre, perché non c’è posto peggiore che mi possa venire in mente, ma tu non me lo hai permesso. In fondo non è che tu provavi gioia nel mio dolore?Non importa adesso, se tutti mi avevano abbandonato non per scelta, ma per costrizione, tu mi eri vicina.
E ora ti dico grazie perché sono nuovo, sono diverso, sono vivo...
Grazie rabbia, ti ricorderò per sempre ascoltando “I fought the law dei Clash, sfogliando le pagine di “Rosso malpelo” di Giovanni Verga o scorgendo la tua ombra in una scena di “La notte del Giudiziodi James Di Monaco.

Redazione

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