Tolto tutto ciò, a volte capita che si creino dei contesti improntati sul lavoro e sul gioco di squadra, in un’ottica dove il detenuto viene messo alla prova nello svolgimento di particolari attività che richiedono un impegno significativo. In uno di questi casi ho avuto modo di conoscere D. e di trascorrere gran parte della mia giornata insieme a lui e al resto della squadra.
Fin dal primo giorno, la sua sensibilità e la grande complicità con tutti hanno permesso di vivere e lavorare in un clima di grande coinvolgimento e armonia. Non è affatto scontato che si creino sane relazioni all’interno del carcere, tanto più all’interno di luoghi di lavoro, ma io mi reputo fortunato e sono contento che ci sia stata questa grande intesa di cui oggi posso avere solo un bellissimo ricordo.
Già, perché D. è giunto qualche giorno fa al suo ultimo giorno di pena, ma il lavoro fuori continua. L’esperienza prosegue sulla sede all’esterno, quindi la squadra continua il gameplay abbattendo i confini e le distanze, solo fisiche e non intellettuali, fra chi ha iniziato all’interno e chi invece prosegue inseguendo un sogno: ricostruirsi una nuova vita. D., un ragazzo giovane e semplice nel suo modo d’essere, come molti dei giovani adulti che si ritrovano a vivere l’esperienza della detenzione e che vanno aiutati a superare le criticità dell’odierno sociale. Saper cogliere i bisogni di chi si trova in queste situazioni sta proprio nel saperli avvicinare alle opportunità di lavoro e di studio che rappresentano i due pilastri su cui improntare il reinserimento all’interno della società.
Non si nasconde una nota di tristezza oggi, guardando il posto solitamente impegnato da D., che invece viene impegnato da chi scrive. Si sente nell’aria che manca qualcuno, ma il pensiero di vicinanza è tanto forte che la positività si trasmette nonostante le distanze.
Redazione