Giovedì, 02 Novembre 2023 18:35

Ieri e oggi: la pulizia in carcere

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Foto di Artem Makarov su Unsplash Foto di Artem Makarov su Unsplash

Ecco uno degli stereotipi del carcere e della presunta perfezione che esso crea o induce nelle persone che lo abitano, vivono, subiscono. Facciamo subito un distinguo, il termine “pulizia” nell'ordine generale delle cose possiede varie accezioni, limitiamoci a quella della persona e quella del posto in cui si “vive”, la cella.

Dunque, un passo indietro, negli anni passati, quando il diritto era sempre lo stesso ma era assopito in qualche scrivania del Ministero di Grazia e Giustizia. Oggi hanno cassato il termine “grazia”, è rimasta solo la... giustizia. Ma questa è un'altra cosa. Dicevamo, tanto tempo fa, per la pulizia delle celle e della persona, ogni tanto davano uno straccio e del detergente “strano”, molto allungato con acqua.

Negli anni ‘90 e primi 2000 la pulizia avveniva quotidianamente, un po' perché non c'era nulla da fare, un po' perché le cosiddette celle erano blocchi di cemento sporco in tutte le pareti, su cui germogliavano talune volte delle strisce di muffa. Quindi le pulizie consistevano in una baraonda frenetica in cui si smobilitava tutto accatastandolo in qualche angolo, e gettando secchi di acqua con il detergente “strano” e poi spazzolando l'acqua stagnante su tutta la superficie. Qualcun altro provvedeva alle finestre, avendo cura di non far colare acqua sulle pareti. Molti non pulivano il cancello perché era un modo scaramantico di non asservimento al potere (che voi ci crediate o meno era così).

Quindi, a tutto questo sciacquio seguiva poi un recuperare le acque con la paletta e il secchio, fin quando non si poteva finalmente passare il canovaccio consunto, al punto che taluni sembravano reti da pesca. A quel punto si percepiva per qualche ora un senso di freschezza, che veniva coperto dal fumo e “dall'odore della galera”. Afrori che rimanevano nell'aria e nelle narici di chi doveva “viverci”. Una “puzza” che ti porti dentro. Questo era il concetto di pulizia della camera.

Per gli abiti discorso a parte, venivano usati detersivi in polvere diluiti in secchi di acqua alle volte tiepida attinta dalle docce, dopo un primo lavaggio manuale, con quel detersivo con la dicitura “bucato a mano”. Talune volte il permanere per un giorno in ammollo provocava un odore nauseabondo. Poi c'era la limitata scelta delle marche di dentifricio. Sarà per la scelta dell'impresa che dispensava i generi, ma le marche ricorrenti erano due, ingenerando così solo una scelta, quella fra un prodotto economico e un prodotto più costoso. Quindi, allora le cose che mancavano erano molte rispetto a quelle che si potevano avere.

Oggi vige lo stesso diritto di allora, ma una stagione di riconoscimento ha permesso da qualche decennio di avere più possibilità di scelta sui detersivi, sui prodotti di igiene personale e addirittura è la stessa amministrazione che distribuisce mensilmente una fornitura cospicua e completa di prodotti per l'igiene personale e della camera di pernottamento (non sono più celle). Quindi la pulizia delle camere non può e non sarebbe neanche più il caso di farla, come nel passato, riversando sul pavimento secchi di acqua. Oggi i canovacci sono resistenti e ce ne sono in abbondanza. Quindi la pulizia viene fatta in modo normale. Sono rimaste le marche più strane di detergenti anonimi, ma tutto sommato hanno un odore di qualcosa, rispetto a quelli del passato che sembravano contribuire agli afrori dell'acqua stagnante.

Inoltre, quel diritto sopito sembra essersi destato e sembra farsi valere. Speriamo solo che duri, anche se il diritto del nostro ordinamento talune volte sembra essere come gli indicatori di direzione degli autoveicoli. Adesso sì, adesso no. Speriamo che il lampeggio non crei un corto circuito e spenga del tutto le speranze del poter scegliere.

Redazione

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