Mensilmente, più precisamente ogni terzo mercoledì del mese corrente, presso il laboratorio di Eta Beta interno al carcere Lorusso e Cutugno di Torino si aprono le porte della redazione ai detenuti del padiglione E.
Il colloquio in carcere per i detenuti e un giorno, un’ora speciale, l’unico momento in cui ti scordi di questo posto, anche se davanti agli occhi hai sempre le sbarre, le porte di ferro blindate e gli agenti in primo piano a controllarti, per vedere se dai un abbraccio o fai una carezza di troppo.
Ci sono circa 35° e sono ancora le 10:00 di mattina quando mi reco presso la sala (centrale) per incontrare i miei cari. Incontro altra gente, sono tutti vestiti eleganti e mentre avanzo, mi rendo conto che il giardino e rigoglioso e ben curato. D’altronde il verde nelle ville deve essere sempre così, al contrario nessuno prenoterebbe per trascorrere una giornata all’aria aperta come quella che trascorrerò io con i miei cari.
All’interno della redazione di Letter@21, ogni terzo mercoledì del mese si coinvolgono, oltre ai dipendenti della cooperativa Eta Beta, altre figure che gravitano all’interno del carcere di Torino, anch’essi detenuti.
Lo scopo è quello di scambiare informazioni e punti di vista su diverse tipologie di argomenti, in modo da poter accrescere il bagaglio culturale soggettivo, perché in fondo c’è sempre da imparare.
Alzo il braccio e guardo l’orologio, le lancette puntano le nove. Sono rivolto verso il cancello che dovrebbe consentire l’accesso al laboratorio di Eta Beta se solo qualcuno lo aprisse. Sembra non esserci nessuno nei dintorni, se non M. A. e G. C. che appoggiati schiena al muro, attendono con me l’apertura.
Diversità, prospettive, ordine, incontro, umanità … e una fiaba rom. Sono le parole scelte, nel primo caso, per descrivere un anno di carcere dai volontari del Servizio Civile e dei dipendenti di Patronato e Caf Acli e dell’Ufficio Garante dei diritti delle persone private della libertà Comune di Torino. Nonché il soggetto di un cortometraggio, nel secondo caso, diretto da Roberto Agagliate dal titolo “La madre e il suo principe”.
Quando ti trovi in un posto chiuso come il carcere per tanto tempo non riesci a fare a meno di pensare a come ci sei finito. Una volta che la porta della cella si chiude dietro di te, non ti resta altro da fare che affrontare la situazione e cominciare a organizzare la tua sopravvivenza per cambiare la situazione attuale e trovare al più presto una strada di uscita, ma il mix di adrenalina, paura, ansia e disorientamento ha un effetto devastante.
Ore dodici e trenta circa, stranamente il carrello non è ancora passato. Probabilmente ci sono stati problemi in cucina. Siamo tutti in attesa quando finalmente odiamo il suono del campanello. Creando una fila ben poco ordinata i commensali cominciano ad attorniare il tavolo dove verranno depositati i contenitori con il cibo e cominciano a chiamare il portavitto.
Che buon profumo, ci sarà qualcosa di veramente appetitoso oggi a pranzo. Ogni volta è cosi, ci si convince attraverso il profumo che fuoriesce dalla cucina che ci sia qualcosa di veramente sfizioso da mangiare e invece “la solita minestra", ovviamente si fa per dire.