Febbraio del 2007, uscii dalla Casa Reclusione di Opera (Mi), dopo aver scontato sei anni di detenzione, ero cambiato e l’impatto con la libertà, mi dava un senso di grande inquietudine.
Quando lasciai casa mia, per farmi la mia vita, avevo 16 anni. Allora sembrava la scelta più giusta e sensata che potessi fare. I miei genitori erano separati già da un po’ di tempo, io vivevo da mio padre, l’unico di 6 figli che scelse di rimanergli a fianco, con gli altri cinque, oramai, non aveva più un buon rapporto. Feci questa decisione a 12 anni, in un aula di tribunale, davanti a un giudice e due avvocati divorzisti, compresi i miei genitori. All’inizio era tutto nella norma, la quotidiana vita di un adolescente. Scuola, amici, calcio e casa.
L’ultima festa di Capodanno trascorsa in famiglia è stata nel 2004. Da allora sino ad oggi non ho più festeggiato l’arrivo del nuovo anno con i miei familiari.
Questo articolo lo possono leggere tutti, ma non tutti saranno in grado di capirlo. Probabilmente solo quelle persone che hanno vissuto una vita detentiva, oppure chi in prigione vi entra da esterno, come gli operatori o gli assistenti volontari. Per tutti gli altri non rimane che il terreno dell’immaginazione.
Che serata, quella del 14 novembre 2017! “Cù sa scurda cchiù!. Una telefonata proveniente dal Penitenziario “Lorusso & Cotugno” ad un orario un po’ insolito: poco prima di fare rientro in istituto come previsto dal regime di semilibertà, ha fatto concretizzare il “superamento degli schemi poetici del passato”, con tanto di ritorno a casa.
La nostra società ci riserva ogni tipo di violenza. E’ inconcepibile che un essere umano faccia violenza ad un altro essere umano, ma purtroppo esistono anche queste persone.