Il carcere è un luogo dove spesso si passano intere giornate tra detenuti a raccontarsi e parlare di chi si era, di cosa si faceva fuori, un po’ per vanto un po’ per ammazzare il tempo. C’è chi però ha avuto una realtà lavorativa un po’ inconsueta, come nel mio caso, e la gente non ti crede se racconti che per vivere vendevi zebre, cammelli, e molti altri animali esotici.
Dunque, da dove iniziare, coltivare affetti familiari all’interno di un carcere è molto difficile per le condizioni in cui versano i detenuti.
Vademecum del politically correct
Alle volte i pregiudizi, i luoghi comuni umani, possono condizionare scelte che nel tempo si rivelano non esatte. Accade spesso e, per quanto lo si possa sperimentare, si è sempre pronti a ricadere nel baratro del presumere che una data cosa sia quello che ci appare.
Saranno le undici, le undici e trenta al massimo, siamo io e uno sparuto gruppetto di compagni di detenzione raccolti attorno al calcetto, tutti presi e concitati dalla nostra partitella.
La musica che gira dentro… continua, da quel “la” iniziale, c’è stato un implemento ulteriore. Il gruppo era alla ricerca di un quarto componente che suonasse il basso, per completare la band, che grazie a “Titty pink”, nome d’arte della vocalist T. P., si è materializzato dopo prove su prove.
Un’originale testimonianza per un’inusuale iniziativa presso il carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino che prende il via dall’amore per la musica di un gruppo di ristretti.