Mercoledì, 31 Agosto 2016 13:13

Tifosi a sbarre

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Non essere un appassionato di calcio ti toglie, soprattutto durante la stagione di serie A e le coppe europee, molti argomenti di conversazione. Io, che in fondo sono un po’ misantropo, ero ben felice, quando ero fuori, di essere escluso dai discorsi sul miglior calciatore o sul fallo di gioco meritevole o no di essere punito con un rigore.

Ma nel mio attuale stato di privazione della libertà, Champions, Europa League e serie A, sono dei periodi di vera e propria tortura in contrasto con qualunque Convenzione dei diritti dell’uomo e della Costituzione.
Negli ultimi mesi, il tema principale delle conversazioni detentive è passato da “quando esco” a “secondo me Ventura (che mi dicono sia l’allenatore della Nazionale) deve convocare Tizio invece di Caio”. L’unica Gazzetta dello Sport che circola in sezione diventa ambitissima (e io non riesco a vedere la sola cosa interessante di quel giornale, l’oroscopo) e già dalla mattina iniziano le tattiche di abboccamento che porteranno alla definizione dei vaticini (con montepremi caffè e gelati) sulle possibili squadre vincitrici di singole partite o competizioni ufficiali di nazionale e squadre di club.
Così con l’avvicinarsi dell’avvio della stagione agonistica, mi sembra sempre più imminente il déjà-vu con l’incubo dei recenti Europei.
Il primo periodo è stato, con due partite al giorno, davvero intenso, ma almeno durante il match pomeridiano la cella era ancora in orario di apertura e quindi potevo andare al computer a vedere in pace e tranquillità un film, ma quando le partite sono state esclusivamente serali mi è toccato sorbirmi, nel ribollente caldo dei nostri 15 metri quadri, ore di interminabili partite. E sì perché quasi mai queste partite finiscono al 90° minuto, ma vanno avanti ancora ai supplementari e a una serie di interminabili rigori. Dormire o leggere è impossibile perché il tifoso vive la partita di fronte alla tv come se avesse davanti un interlocutore in carne e ossa da poter rumorosamente insultare, consigliare e con cui condividere l’eventuale esultanza se si tifa per la stessa squadra.
Forse ora sarà un po’ meno intenso il rapporto multimediale con il calcio, non avendo la pay TV in cella, ma la saturazione calcistica serale dei palinsesti televisivi a base di pallone e spogliatoi, non nego un po’ mi spaventa.
In particolare temo le partite degli “azzurri”, quando molti diventano sfegatati tifosi solo in occasioni di questi incontri, riscoprendo la passione per l’inno nazionale solo se suonato allo stadio, proprio come fanno con la religione che riscoprono non appena varcano la soglia del portone del carcere, diventando dei ferventi fedeli.
Ma le analogie tra calcio e religione non finiscono qui. Nel saggio dell’antropologo Marc Augè (non-luoghi) intitolato “Football. Il calcio come fenomeno religioso” viene evidenziata tutta la ritualità calcistica che accompagna la liturgia delle partite e che fa di esse veri e propri fenomeni accostabili a quelli tradizionalmente religiosi, ove i fedeli compiono automaticamente e in modo irriflesso riti degni di una cerimonia (intonare cori, alzarsi in piedi a cadenza regolare, ecc.). In questo senso, come precisa l’antropologo francese “il rapporto tra sport di massa e religione non ha niente di metaforico”. Il calcio, cioè, non è “come la religione: è esso stesso intrinsecamente una religione, con il suo culto e i suoi riti, con la sua fede e molto spesso anche con la sua intolleranza e fanatismo”.
Per fortuna il prossimo grande evento calcistico, i Mondiali del 2018 con collegamenti 24 ore su 24, è abbastanza in là nel tempo, e spero di poterli non-vedere. Da fuori.

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