Giovedì, 09 Febbraio 2023 18:34

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Foto di Jon Tyson su Unsplash Foto di Jon Tyson su Unsplash

Attraverso la musica possiamo giocare, interagendo con l’ambiente circostante, per sovraccaricare o smorzare le sfumature di un ambiente, di un evento o una circostanza.

Se la carcerazione fosse un film, quale sarebbe la sua colonna sonora, un po’ come quella che accompagna periodicamente i giorni di Sanremo?

Ogni carcerazione è ricca di eventi, più o meno inaspettati, alcuni sono pietre miliari, precisi step della storia detentiva di chi in galera soggiorna, episodi tipici della giornata come: riordinare la cella, preparare un caffè o una partita a carte e altri momenti che sono unici, irripetibili come l’arrivo in una nuova cella o quello del colloquio con una persona che non vedevamo da tempo.

Partiamo dal principio.

Siamo al cancello, ammanettati in una vettura delle forze dell’ordine, le inferriate si schiudono e ci conducono in Matricola. Potrebbe essere la nostra prima carcerazione, e in questo caso la musica dovrebbe avere un tono neutro, non eccessivamente intenso, che genera aspettativa: dove sono? Cosa troverò qui? Come sarà davvero il carcere? Un sottofondo dalla sfumatura jazz come “On demon wings” di Bohren potrebbe fare al caso nostro.

Ora siamo in sezione, ci inseriamo in quella che è la vera e propria quotidianità del vivere da detenuti. Mattina, vogliamo ingranare bene la giornata, un sottofondo rock per darci la carica, stile “T.N.T.” degli Ac/Dc, o magari se vogliamo svegliarci con tranquillità e goderci la nostra colazione di galera possiamo lasciare che le note di un blues leggero come “Smokestack Lightnin’” di Howlin’ Wolf ci accompagnino.

Un buon sottofondo per le pulizie di cella sarebbe “I want to break free” dei Queen, ma evitando di lasciarsi trascinare dall’atmosfera del videoclip se non vogliamo destare sguardi straniti in sezione.

Facciamo colazione, doccia, laviamo la cella, è ora di scendere all’aria. Qui lo scenario richiama necessariamente all’immaginario più classico della cinematografia americana persone di ogni cultura e etnia, mescolate le une alle altre, insieme in un vascone di cemento cinto da mura. Alla mente salgono subito canzoni dallo stile gangsta-rap, sul genere Snoop Doog con “Vato”. Saliamo dall’aria, si fa una partita a carte, lo scenario tipo bisca clandestina con sigari e sigarette in bocca, nuvole di fumo grigio denso, bicchierini di caffè usati a mo’ di posacenere stracolmi di mozziconi, si addice alla perfezione ad un sottofondo groove che accompagna le carte che volano sul tavolo. “Green Onions” calza a pennello per un’occasione del genere, si mangia qualcosa, si respira un’aria densa di sigarette, di caffè, di molteplici cibi, se non ci fossero le sbarre sembrerebbe di trovarsi in un suk arabo. Dove si è cullati da una musica dal suono placido e dal retrogusto vagamente orientale tra il lounge e il fusion come “Electic Masada” di John Zorn.

Finito il pasto è di consuetudine un riposino con le note dei “Pixies” di “Where is my mind”. È ora di andare ad allenarsi sul serio, la corsetta e la partitella a calcio, le flessioni a corpo libero sono un piacevole modo di tenersi in forma, ma qui bisogna spingere, la palestra di galera non è il fitness club dietro casa, lasciamo perdere musichette electro house, il sound deve essere quello di 50 cent con “Get down”. Dopo la palestra occorre rilassarsi, rifocillarsi, nella mente e nel corpo, ora una melodia lounge del sapore elettronico tipo “Breathe” dei Telepopmusik è perfetta.

Quindi doccia, un libro e gustiamo una cenetta, fuori è buio, un’altra giornata di detenzione è trascorsa, una sfumatura nostalgica accompagna con le sue note la serata: Erik Satie “Gymnopedies”.

 Ma ci sono tanti altri momenti topici in una carcerazione: come andare all’aria, ma mentre ci si avvia al cancello si è chiamati alla Matricola, quando la tensione scatta subito, e scendi di corsa le scale per scoprire cosa ti aspetta e intanto canti un tema big beat alla “Firestarter”, dei Prodigy. Oppure mentre si è tradotti ad un’udienza, anche qui la tensione è alta, ma di diverso tipo, più in sintonia con il John Zorn di  “Invitation to a suicide”. Ci sono anche momenti che richiedono un accompagnamento romantico, con una nota di nostalgia alla Battiato (La cura). Se viene a trovarci chi amiamo le note di “L’emozione non ha voce” di Adriano Celentano rendono perfettamente il giusto pathos, se a trovarci sono i nostri parenti è più indicato un sottofondo leggero che accompagni la nostra ora insieme, mentre chiacchieriamo con chi ci vuole bene, ad esempio Ghali con “Good times”.

E nel momento topico per eccellenza, quello dell’agognata, attesa scarcerazione? Non può che concludersi con le note epiche della nona sinfonia di Ludwig van Beethoven, quando il cancello si aprirà e il vento accarezzerà il volto del liberante.

Redazione

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