Martedì, 17 Ottobre 2023 12:42

Blackout... in carcere

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Foto di Atikah Akhtar su Unsplash Foto di Atikah Akhtar su Unsplash

Il carcere oggi è fornito dei servizi che la vita comune impone come canoni minimi per la vivibilità. Anche se le strutture presentano numerose criticità, e nel tempo la fatiscenza data dall’uso e da tecnologie obsolete può provocarne il tilt.

Alle volte è una perdita idraulica con allagamenti che si propagano in modo eccessivo, tutti cercano di porvi rimedio arginando la zona di influenza, del proprio spazio vitale, della propria “cella”. Questo quando avviene in un orario in cui possa esservi l’intervento umano a riparare l’evento critico.
Quando accade, invece, in un orario fuori dei canoni lavorativi, l’evento si ingigantisce, proprio perché rispetto ad un condomino esterno abitato da persone… “normali”, il carcere è sempre il luogo dove le cose sono e si vivono al rallentatore. L’ottica è quella del… si farà, si dirà, si riparerà, quando si potrà. Tutto è relegato al futuro anteriore, non collocabile nell’immediatezza.

Il più delle volte, oltre all’allagamento per la rottura di un tubo, o per l’infiltrazione di acque piovane nelle mura, si pone il problema elettrico, un blackout che all’improvviso colpisce, facendo cadere il carcere nel buio. Accade specialmente di sera, quando tutti sono assorti davanti alla tv che dispensa programmi o film che occupano e accompagnano al sonno, alla fine di un’altra giornata.
Ecco che all’improvviso il buio si manifesta, con i suoi spettri ancestrali. In carcere il silenzio e il buio sono condizioni non facilmente “vivibili”, proprio per il controllo che il posto deve avere, porre sotto la luce il controllo degli eventi, il rumore, “la baraonda dell’imperfezione”. Sembra quasi il titolo di un racconto psicologico, difatti lo è.

In taluni il buio crea quell’effetto scatenante di poter gridare la sofferenza e l’impotenza che nella luce non si può gridare. Quando accade, a qualunque ora, esplode un grido liberatorio, prima roboante sul tipo “ohhhhhhhh”, poi qualcuno si libera dando sfogo a grida e battiture sulle sbarre, o anche scimmiottature di versi di animali. Ho notato nel tempo che l’ululato del lupo è in prima posizione, proprio per l’associazione con il buio. Al secondo posto c’è il raglio dell’asino, seguito a quel punto da cani che abbaiano e gatti che miagolano. C’è pure qualcuno che dice volgarità e qualcuno che inveisce.
Poi, se il blackout si protrae, iniziano i commenti: la linea è vecchia, casomai il sovraccarico di tensione è dato dallo spreco di energia per luci lasciate accese anche durante il giorno, e così via. Ovviamente quando accade, il sistema di sicurezza garantisce l’illuminazione delle mura di cinta.

Questo mondo “oscuro”, popolato dalle insicurezze di una moltitudine umana che cerca stimoli o occasioni per manifestare uno sfogo, che sopperisce alle carenze che la quotidianità non offre, è regolato dall’istinto umano. Quel buio dà il via libera alle paure ancestrali che ognuno custodisce gelosamente dentro di sé.
Può accadere anche durante la notte... all’improvviso buio.
Direte, ma era già notte, già buio. Sì, però il popolo carcerario se ne accorge in quanto, ad esempio, se fa caldo sono accesi i ventilatori e una cappa di calore desta chi dorme “al fresco”.
Allora si spera in un ripristino veloce e di non dovere attendere il pomeriggio del giorno dopo, con la preoccupazione che il cibo nei frigoriferi e nei congelatori possa guastarsi.

Oggi c’è la crisi e anche un garantismo bidirezionale, che vuole essere l’applicazione del diritto e dei doveri. Intanto molti Istituti continuano ad essere inagibili nel tempo.

Redazione

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