Martedì, 22 Ottobre 2019 14:31

La pena dopo la pena

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LiberAzioni 2019, appena conclusosi con la serata di premiazione del contest musicale e dei concorsi nazionali di scrittura e cinema nella serata di domenica 20 ottobre, non è stato solo un festival delle arti dentro e fuori, ma anche spunto di riflessione sulla detenzione.

Come nel caso del Convegno “La pena dopo la pena” tenutosi presso il Campus Luigi Einaudi di Torino sabato 19 ottobre. Organizzato dall’Università del capoluogo piemontese e moderato da Claudio Sarzotti, presidente di Antigone Piemonte e professore ordinario di Sociologia del Diritto, l’appuntamento ha posto l’attenzione sui limiti della pena e della “pena perpetua”, sull’ostracismo che accompagna il reo una volta scontata la condanna.
Ad animare la discussione Emilia Rossi, componente dell’Ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà, la Garante delle persone private della libertà del Comune di Torino Monica Cristina Gallo, il giornalista e conduttore televisivo (Radici RAI3) Davide Demichelis, Susanna Ronconi associazione SaperePlurale e Sergio Segio associazione Società Informazione, con intermezzi dell’attrice e regista Clara Galante e Naomi Mazzasette della segreteria organizzativa di LiberAzioni.

A introdurre il concetto di “stigma della pena”, che inizia ad essere concreto già al momento dell’uscita per una persona detenuta le parole di Monica Cristina Gallo il nostro ufficio risulta un primo approdo facile, in quanto conosciuto, perché spesso la persona non sa dove andare.” E proprio l’attenzione all’uscita può essere un momento dove iniziare a sgretolare il rischio della “pena dopo la pena”.
Impegno portato avanti da tempo dall’Ufficio del Garante di Torino, essendo riuscito “grazie ad un contributo europeo, a predisporre un kit di uscita, basato anche su un’attività di indagine con i dimittendi, per capirne le esigenze ed intervenire individualmente.” Altra barriera “al reinserimento, soprattutto lavorativo, è la rete. La possibilità odierna per chiunque con una ricerca sul web di imbattersi nel reato e non nella persona. Aspetto sul quale l’Ufficio ha attivato un gruppo di avvocati per ragionare sul diritto di oblio sul web.”

Proprio la comunicazione e la cultura diventano elementi per ragionare sulla pena “perché non sia retributiva, ma risocializzante”, a spiegarlo è Emilia Rossi. Per la componente del collegio del Garante Nazionale bisogna partire dalla cultura del linguaggio perché la pena diventi tale, non si devono più utilizzare “aggettivi rendendoli sostantivi.” “Non esistono detenuti, ma persone detenute … La pena va affrontata sotto il punto di vista della legalità e della finalità. Nel nostro Ordinamento Penitenziario ad esempio non esiste la certezza della pena. Intesa come numero di anni di reclusione da espiare in carcere fino alla fine della condanna. Questa affermazione è smentita dalle misure graduali previste dallo stesso ordinamento.”
Ma la pena spesso non è solo quella legale è anche quella successiva “imperitura, mediatica, bisogna garantire il diritto all’oblio, per fare in modo che il proprio passato non aggettivi il reo.”

Aggettivazione che avviene nonostante il diritto all’oblio, come testimoniano le letture da testi di Sergio Segio dall’ipotetico titolo “Vietato sorridere” e “Pecore e livore” ad opera di Clara Galante su alcuni casi mediatici.

Momento dell’uscita, cultura del linguaggio, diritto all’oblio negato, ma anche clamore mediatico, ostracismo, paura del non conosciuto, diritto alla parola pubblica negato, istituzionalizzazione, libertà dimezzata nelle testimonianze di Susanna Ronconi, Davide Demichelis, Naomi Mazzasette e Sergio Segio.
Per Susanna Ronconil’ostracismo vissuto può anche non essere sociale, ma lo stigma essere politico e mediatico, la negazione diventa quella del diritto alla parola pubblica. Una sorta di ergastolo bianco dove non viene concesso il diritto all’autobiografia, per parlare delle proprie competenze o di quello che si fa dopo la condanna.” Impronta negativa che può essere differente per intensità anche in base al genere “ad esempio la narrazione dei reati di genere, se è commessa da delle donne viene maggiormente enfatizzata.”
Il ruolo della stampa e dei media assume un’importanza non trascurabile nel definire pene perpetue, nonstante il “diritto all’oblio sia superiore al diritto di cronaca”. Il meccanismo è spiegato con cura dal conduttore di “Radici” Davide Demichelis “se non conosco l’altro, ma solo la narrazione che viene fatta di lui, mi troverò di fronte un marziano e ne avrò paura, questo avviene per le persone immigrate e vale anche per le persone detenute … Noi non abbiamo la percezione della paura che ha ad attraversare la strada una persona che esce dal carcere.”
Istituzionalizzazione nel linguaggio specialistico, la percezione di straniamento una volta fuori, “un momento, l’uscita, al quale spesso nessuno pensa ed è lasciato alla semplice autogestione della persona”, come ha sottolineato Naomi Mazzasette, tra i/le partecipanti al cineforum critico sui prison movie tenutosi all’interno del polo universitario di Torino per LiberAzioni 2019.
Una pena dopo la pena che per essere compresa non può essere slegata “dal durante la pena. Origine di molti problemi del dopo. In questo caso la mancata riforma del sistema penitenziario risulta un’occasione mancata … anche per evitare che galeotti lo si sia a vita … o che si viva in una condizione di libertà dimezzata, pensando alle pene accessorie che il fine condanna porta con sé”, come sottolineato a conclusione del convegno da Sergio Segio.

G. B.

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