Venerdì, 13 Aprile 2018 14:54

Salute in carcere: le attività formative a 1O anni dalla Riforma

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Necessità di attività formative per condividere un linguaggio comune, dialogo, confronto e comunicazione tra i vari attori interessati, è quanto emerso nel seminario "Giustizia e Sanità: un dialogo necessario", tenutosi mercoledì 11 aprile a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte.

Occasione da una parte per conoscere le attività formative sulla cura della salute in carcere e dall’altra per riflettere a dieci anni di distanza dalla Riforma che ha trasferito le competenze della sanità penitenziaria dal Ministero di Giustizia a quello della Sanità, su cosa questo ha significato. Il seminario promosso dal Consiglio e dalla Giunta regionale in collaborazione con l'Ufficio del garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, dal Provveditorato dell'Amministrazione penitenziaria (Prap) del Piemonte, della Liguria e della Valle d'Aosta e dal dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino, ha visto avvicendarsi al microfono, moderati da Bruno Mellano, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, numerosi interlocutori. Tra gli altri, il presidente del Consiglio regionale Nino Boeti, il presidente della quarta Commissione del Consiglio regionale (Sanità e assistenza) Domenico Ravetti, la direttrice del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino Laura Scomparin, il provveditore dell’Amministrazione penitenziaria Liberato Guerriero e Marina Gentile della direzione regionale Assistenza sanitaria e sociosanitaria territoriale.

Tutti accomunati nel sottolineare il carattere prioritario e centrale di una formazione congiunta tra il Servizio sanitario e quello di Sorveglianza all’interno del carcere, “sia per normalizzare il quadro delle competenze”, come ha ricordato lo stesso Mellano, sia per “portare la cultura del diritto pubblico all’interno, in modo che i diritti coesistano con i doveri, evitando il paradosso della creazione di corsie preferenziali” nelle parole di Antonio Pellegrino, coordinatore regionale dei referenti aziendali per la Sanità penitenziaria.
Proprio per questo individuare percorsi comuni, come nel caso del piano sulla prevenzione dei suicidi a livello locale, “coinvolgendo i ruoli quadro del sistema sanitario e dell’Amministrazione Penitenziaria, ma anche gli stessi detenuti” e “continuare il percorso di sperimentazione per la condivisione del linguaggio”, per Francesca Romana Valenzi e Romolo Pani, direttori dell'Ufficio Affari generali, personale e formazione e dell'Ufficio detenuti e trattamento del Prap sono le direttrici da continuare a percorrere.
Direttrici che per il garante regionale tracciano “una strada che non garantisce percorsi preferenziali per i detenuti, ma li rende tali per l’intera società, per la comunità. Bisogna avere la consapevolezza che la detenzione può rappresentare un’opportunità per chi è recluso. Può significare per la persona un primo contatto con i servizi sanitari e stimolare in essa comportamenti di vita diversi o portarla a conoscenza di stili di vita sbagliati”.
Un paradosso la carcerazione contemporanea, non solo in Italia, se vista con la sola visione del “vantaggio” per chi la subisce di “entrare in relazione con i servizi”, che ancora di più evidenzia l’attualità di percorsi formativi progettati nell’ottica della costruzione di una cultura condivisa, secondo Giovanni Torrente, ricercatore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.
Oggi, per la prima volta negli ultimi anni, si assiste a un’inversione di tendenza, i sucidi in carcere sono in aumento, quasi il 2%, mentre un dato rimane costante, delle morti in carcere un terzo è rappresentato dai suicidi. Trend negativo non casuale, basta pensare all’aumento della popolazione carceraria, nonostante la diminuzione complessiva del numero di reati commessi. Inversione dovuta al mutamento del clima: la spinta per diminuire il sovraffollamento seguita alla “Sentenza Torreggiani” si è ormai esaurita, l’UE ha chiuso il fascicolo Italia, la Riforma dell’Ordinamento Penitenziario è rimasta nel cassetto e la gestione delle politiche penitenziarie in ottica più securitaria ha comportato profonde ripercussioni sulla vita delle persone. Per questo i percorsi di formazione e confronto possono rappresentare una forma di resistenza a questo mutare del clima, e alle conseguenze che ne comporta”.

G. B.

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